
Il marzapane … una meraviglia di pasta di mandorle, albume e zucchero facilissimo da preparare anche in casa.
Ma cosa vuol dire marzapane? Pane di marzo? Oppure la mandorla si chiamava marza e vuol dire “pane di mandorle”?
Nulla di tutto questo!
Il “marzaban”, che é termine Arabo, era un’unità di misura come lo erano le anfore, le giare e le botti, ovvero un contenitore con misure predeterminate e precise, capace di contenere una prefissata quantità di un prodotto. Nello specifico si trattava di una scatola di legno molto leggero e con il coperchio che veniva usata per spedire la pasta di mandorle realizzata a Cipro nelle varie parti del Mondo allora conosciuto.
La lunghezza dei viaggi faceva sì che la pasta prendesse la forma della scatola e … il nome.
Ancora oggi il marzapane viene venduto in blocchi rettangolari.
La preparazione più nota realizzata con il marzapane é la frutta Martorana.
Colorata ed invitante, delizia per occhio e palato e frutto (parola adeguata) del genio, non di un Pasticciere di rango ma … di un’umile suora.
Nel 1143 Ruggero II, Re di Sicilia, aveva programmato una visita al Convento di monache adiacente alla chiesa di Santa Maria della Martorana a Palermo. Il nome del Convento era in onore della nobildonna Eloisa Martorana che finanziò la costruzione del monastero. Torniamo al Re … a causa di tanti impegni riuscì fare la visita in pieno inverno e non in estate come aveva annunciato. Le suorine erano disperate … cosa avrebbero potuto offrire al Re se non la loro minestra? Fosse stata estate avrebbero potuto imbandire la tavola con frutti e ortaggi dell’orto ma in inverno …
Una di loro, rimasta anonima, ebbe un’idea: creare con il marzapane (con cui sino ad allora di realizzavano dei dolcetti) frutti e ortaggi “finti”. Nacquero così questi piccoli capolavori di pasta di marzapane, gomma arabica e tinte vegetali (rose, zafferano, pistacchi ecc).
Un capitolo triste (e tristo) della storia della Frutta Martorana fu scritto dalla Corporazione Siciliana dei Confettieri, la quale, allettata dai guadagni elevati che se ne sarebbero potuti ricavare, manovrò la Diocesi per ottenere il monopolio della produzione. Nel 1575, il Sinodo diocesiano di Mazara del Vallo proibì alle monache di preparare la frutta portando a motivazione che “la preparazione della stessa arrecava disdicevole distrazione al doveroso raccoglimento religioso”. Brutta storia eh?
Ma … non solo frutta …
Verso la fine del 1800 nacque qualcos’altro … l’agnello pasquale di marzapane (in Sicilia chiamato “pecura“) decorato con la velata, una glassa di zucchero fondente che copre l’intero animale, tranne testa e collo.
Una varietà celebre è quello di Favara, ripieno di pasta di pistacchio (ottenuta con la lavorazione a caldo di pistacchi tritati, acqua e zucchero) realizzato sin dai tempi più antichi dalle suore del Collegio di Maria a Favara, un paesino in provincia di Agrigento.
L’agnello di Pasqua (chiamato anche pecorella) é diffuso in tutta Italia anche se negli ultimi decenni é diventato quasi una rarità ma che, un tempo, faceva parte del sogno pasquale goloso dei bambini.
Per concludere la chiacchierata sul marzapane vorrei sussurrare che non ci dobbiamo sentire infantili o inadeguati se lo adoriamo. Basti pensare che sia gli Etruschi che i Romani offrivano dolci di mandorle agli Dei. Per cui … golosi perdonati per diritto divino.
Se volete farvelo da soli basterà seguire la Ricetta
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