L’isola di Pantelleria (in siciliano Pantiddirìa o Pantiddarìa) che molti identificarono come la mitica Ogigia, regno della ninfa Calipso, è la più grande delle Isole che circondano la Sicilia ed anche il territorio italiano più vicino all’Africa (dista da questo Continente solo 70 chilometri) tanto che la costa della Tunisia è visibile ad occhio nudo.
L’isola è di origine vulcanica e su di essa vi sono acque calde e fumi che denunciano la presenza di attività vulcanica ancora esistente.
Sferzata ogni giorno dell’anno dai venti marini venne battezzata dagli Arabi “Figlia del Vento” ovvero “bintu al riah” da cui si originò il nome attuale.
Proprio gli Arabi vi importarono gli agrumi mentre i notissimi capperi di Pantelleria sono spontanei.
Ovviamente, per quanto attiene al nostro “viaggio” la coltivazione che più ci interessa è quella del vitigno zibibbo dal quale si ricava l’inimitabile e rarissimo Passito di Pantelleria D.O.C.
Ma vediamo un po’ di Storia dell’isola.
Una sorpresa per molti sarà sapere che i primi abitanti di Pantelleria non erano siciliani ma iberici-liguri.
Il primissimo insediamento, che ancora però non aveva struttura di villaggio, risale al 5000 a.C., mentre il primo vero villaggio fu quello fortificato di Mursia, dell’Età del Bronzo (circa 2000 a.C.).
In seguito l’isola restò presumibilmente per molto tempo disabitata e bisogna arrivare all’epoca Punica per trovare di nuovo testimonianze di insediamenti (cisterne, tombe e manufatti in terracotta).
Nel 255 a.C. arrivarono i Romani che vi si stabilirono definitivamente nel 217 a.C..
Vista la sua posizione decisamente isolata (si può essere isole ma non necessariamente isolate) Pantelleria divenne un perfetto luogo per relegarvi esiliati (Giulia, figlia di Augusto fu tra loro), poi fu sede di colonia penale, quindi, dal 1864, sede per i domicili coatti sino all’epoca fascista quando vi furono mandati al confino i dissidenti politici.
Proseguiamo con la tormentata Storia dell’isola.
Nel 533 arrivarono i Bizantini che ridussero gli abitanti in uno stato di incredibile povertà.
La prima invasione Saracena avvenne ad opera del Generale ‘Abd al-Malik nel 707, anche se altri storici dicono che i Saraceni vi arrivarono nel 736.
Date a parte, si sa per certo che i Cristiani dell’isola vennero sterminati. I nuovi abitanti di Pantelleria furono gli agricoltori Berberi ma restarono soli sino al 1098 quando i Cristiani la riconquistarono. Berberi e Cristiani convissero pacificamente tanto che pagavano in eguale misura le Tasse sia al Sultano di Tunisi che al Re di Sicilia. A queste due Popolazioni si unirono anche degli Ebrei (che vennero scacciati nel 1492).
Nel 1123 Pantelleria fu conquistata dai Normanni di Ruggero I di Sicilia e nel 1311 fu la volta di Luigi di Requesens, un nobile aragonese che ne fece un Principato.
Ma non era finita … l’isola fu nuovamente messa a ferro e fuoco ad opera dei Turchi nel 1511.
Seguirono alterni periodi di Pace ad attacchi e razzie sino all’Unità d’Italia.
Ricordiamo però i pesanti bombardamenti aerei e marittimi (nell’ambito dell’Operazione Corkscrew) subiti dai panteschi da parte degli Anglo-Americani che preparavano lo sbarco in Sicilia.
Ritengo molto interessante porre l’attenzione sull’influsso Arabo nel dialetto pantesco, influsso che generò termini come cúddia (collina dall’arabo kúdja), buvira (fonte o pozzo dall’arabo bu’ayara), favara (sorgente d’acqua o fumarola dall’arabo fawara), marga e garca (giardino cintato), cale (insenatura per piccolo barche dall’arabo kalla), balate (costa rocciosa piatta dall’arabo balat) e gebel (montagna dall’arabo gabal). Anche i nomi di località e centri abitati sono arabi come Khamma (hamma), Benicuvèdu, Benikulà, Beninmingallo, Beniminnàrdo dall’unione di beni (figli) ed il nome di una Tribù Berbera.
Come doveroso adesso dedichiamo un po’ di spazio e tempo alla viticultura.
Nei millenni la popolazione ha conquistato terra per coltivare realizzando terrazze con muretti a secco sui quali sorgevano i dammusi (edifici a volta dall’arabo dammus) tipiche costruzioni pantesche tutt’ora presenti in numero di circa 5.000 e che servono ai viticultori come abitazione estiva, ricovero invernale diurno e deposito per gli attrezzi.
Si tratta di una costruzione senza fondamenta di forma cubica con il tetto a cupola. Per costruirlo venivano utilizzate le rocce laviche prese direttamente sul luogo di costruzione. I dammusi sono molto stabili grazie alle pareti molto spesse (si va dagli 80 centimetri a quasi 2 metri) costruite con due file di pietre parallele e con il riempimento dell’intercapedine tramite pietre e terra. I tetti concavi sono coperti dal taiu, una malta ottenuta impastando terra ed acqua e quindi imbiancati con calce. Internamente hanno una stanza principale adiacente ad una piccola cucina e alla stalla per l’asino (razza pantesca protetta). Sui muri interni venivano scavate delle nicchie rettangolari (dette casene) per essere utilizzate come armadi e ripostigli. All’esterno del dammuso si trova il caratteristico giardino pantesco circondato da spessi muri. Dentro questi giardini vengono coltivati limoni, cedri ed aranci. Accanto ad un muro del dammuso, anzi proprio attaccato ad esso, troviamo lo stenditore, un muro inclinato rivestito di calce sul quale si appoggia il graticcio per far essiccare l’uva che la notte viene protetta dall’umidità con ampi tendoni. Questo essiccatoio è sempre disposto verso Sud e fruisce sia del maggior numero di raggi solari diretti che di quelli riflessi dal muro a cui è adiacente. Vicino allo stenditore si trova un fornello sul quale si prepara un composto di acqua calda, carbonato di soda e soda caustica che serve a sbollentare l’uva accelerandone così l’essiccazione.
Sulle terrazze attorno al dammuso viene coltivato lo zibibbo importato presumibilmente dagli Arabi (lo suggerisce il nome che deriva da zabib (uva secca) e le cui viti vengono tenute basse e piantate dentro conche nella terra per proteggerle dal vento e facilitare il flusso delle acque piovane così rare a queste latitudini.
Se non si ha certezza del fatto che furono gli Arabi a portare lo zibibbo a Pantelleria è certo invece che furono loro a perfezionare i metodi di produzione. L’impulso a questa coltivazione si incrementò dopo il 1830 grazie ai traffici commerciali resi più sicuri dai Francesi colonizzatori dell’Algeria e presenti nello specchio di mare antistante con numerose navi da guerra e poi nel 1845 per l’abolizione dei diritti promiscui per via di un accordo tra il Principe d’Aragona ed il Comune di Pantelleria.
Lo sviluppo fu così intenso che nel 1883 i vigneti occupavano 904 ettari dell’isola mentre nel 1929 si arrivò a 5.138 ettari.
Il mio consiglio è di visitare senza indugio questo splendido e magico luogo anche per poter degustare direttamente il suo splendido Passito davvero raro e poco reperibile nel resto d’Italia poiché con 30-40.000 quintali di uva (che viene essiccata e quindi cala di peso) è impossibile produrre tutte quelle bottiglie che vedete in giro.
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