5300 anni … questa è l’età dello “speck dell’età della pietra” (definizione del professor Albert Zink ) la carne di stambecco affumicata trovata nello stomaco di Oetzi, l’uomo ritrovato il 19 settembre 1991 a 3200 metri di altitudine sul Similaun, il monte sul confine tra Italia ed Austria.
Quindi la storia dello speck è lunghissima e praticamente mai mutata, se non nel tipo di carne utilizzata che nel tempo diventò il taglio nobile della coscia del maiale, animale allevato in Alto Adige sin dall’età del Bronzo.
Nel Medioevo, la mezza parte affumicata del maiale veniva chiamata “bernam porcinam” (in antico tedesco Suinbache).
Il nome speck, che deriva dal medio alto tedesco “spec” e dall’alto tedesco “spek”, che significano “spesso, grasso” sarebbe stato utilizzato dal XVIII secolo, anche se appare già nel 1307 nell’Ordinamento dei Macellai di Trento, come traduzione in tedesco del latino “lardum”.
Ma Carlo Magno questo salume lo conosceva già, visto che dispose di garantire all’esercito “farinam, vinum, baccones”, ovvero lo speck insieme alla farina ed al vino.
Un altro suo estimatore fu il principe-vescovo di Trento che, nel 1200, dava ordine di mettergli a disposizione tra gli alimenti necessari una “perna”, ovvero una mezzena di speck.
Nato per elevare al massimo i tempi di conservazione con la salatura e l’affumicatura della carne di maiale, lo speck era un prodotto umile usato solo nelle famiglie dei contadini.
L’unione dei due metodi di conservazione è dovuta alla posizione geografica del Sud Tirolo.
La salatura è un metodo del Mediterraneo, mentre l’affumicatura è tipica del Nord Europa.
Il Sud Tirolo, trovandosi al centro di queste due zone geografiche, ha unito i due metodi ideando però la regola “poco sale, poco fumo e molta aria fresca”, ovvero utilizzando salatura moderata, fumo e aria fresca alternati.
Alle origini riservato alle famiglie meno abbienti, lo speck trovò presto un posto d’onore nei banchetti dei nobili per festeggiamenti e benvenuti; ed ancora oggi, unito al pane ed al vino, appare nel Brettljause, il piatto simbolo dell’ospitalità, considerato sacro e composto da salsicce, speck, formaggio, cetrioli, pane casereccio e vino.
Lo speck è antico si è detto, ma non a livello industriale.
Infatti, è solo dagli anni 60 che ha visto la sua produzione su vasta scala.
E’ dunque un prosciutto crudo affumicato la cui produzione è oggi regolata da un preciso disciplinare.
La coscia del maiale viene speziata con un composto di sale, pepe e spezie (tra cui alloro, ginepro, rosmarino, cumino, aglio rosso e coriandolo).
Si procede quindi ad affumicarla leggermente con fumo di legno di faggio (povero di resina) con l’aggiunta di ginepro alternando l’esposizione al fumo negli ambienti affumicatori (la cui temperatura non deve superare i 20°C), ad esposizione all’aria aperta secondo la regola “poco fumo molta aria” citata più sopra.
La stagionatura avviene in ambienti ventilati naturalmente con temperatura di 10°C – 15°C ed umidità tra il 60% – 90%.
Dura circa 22 settimane.
Dal 2003 lo Speck Alto Adige, che nel 1996 ha ottenuto dall’UE il riconoscimento della denominazione IGP (Indicazione geografica protetta), è tutelato (per autorizzazione ufficiale del Ministero per le Politiche Agricole e Forestali) dal Consorzio Tutela Speck Alto Adige nato nel 1992.
A chi volesse “vivere” lo speck oltre che degustarlo, consiglio lo “Speckfest Alto Adige”, la tradizionale festa, che ha luogo ogni anno in autunno a Santa Maddalena in Val di Funes , ai piedi delle Odle.
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