
Dedico uno spazio speciale ad uno dei tanti prodotti Prìncipi italiani, più precisamente siciliani e che, se di Bronte, si fregiano della meritatissima DOP.
Il pistacchio (il cui nome botanico è pistachia vera) è un arbusto, ma spesso lo troviamo anche come albero alto non più di 6 metri con radici molto profonde, tronco nodoso e contorto di colore grigio bruno.
La caratteristica di questa pianta è che vive benissimo, anzi di più, sulla roccia lavica (interdetta a qualunque altro genere di piante).
Una curiosità che riguarda la produzione è che è indispensabile, per avere una buona riuscita, che ogni otto piante femmine si pianti un maschio. Fondamentale é piantarlo sopra vento mentre le vanno in sottovento per far trasferire il polline dei maschi al pistillo delle femmine.
Ma come distinguere il sesso di un pistacchio?
Basta osservarne i fiori che si presentano raccolti “a pannocchia”.
Il maschio ha fiori provvisti di brattee e grosse antere mentre nelle femmine i fiori assomigliano ad un piccolo frutto.
La brattea é una foglia modificata attaccata al fiore. Per facilità vi mostro quella della margherita
Le antere sono quelle sporgenze lunghe al centro del fiore coperte di polline
Torniamo al pistacchio.
Le sue origini non sono certe ma i più dicono provenga dalla città Siriana di Psitacco, mentre altri affermano sia originaria dall’Asia minore o dal Turkestan.
Un fatto certo è che era noto agli Ebrei e ciò si deduce dal fatto che nel Capitolo XLIII della Genesi si trova questa frase che riguarda i doni inviati da Giacobbe al Faraone nel 1802 a.C. “un pò di resina, di miele, di storace, di mirra, di pistacchio e di mandorle“.
Al pistacchio sono state attribuite facoltà medicamentose quasi miracolistiche.
Avicenna, l’Ippocrate dell’oriente musulmano, lo somministrava come farmaco per le malattie epatiche e come afrodisiaco.
Fra’ Jacopo d’Acqui, biografo di Marco Polo, narra di gustosissime ricette di Cucina al pistacchio consumate dal viaggiatore veneziano.
Baldassarre Pisanelli nel 1611 scrive dei pistacchi nel “Trattato della Natura de’ cibi et del bere”:
“Levano meravigliosamente le opilationi del fegato, purgano il petto e le reni, fortificano lo stomaco, cacciano la nausea, rimediano al morso di serpenti…. “.
Castore Durante Da Gualdo nel 1646 conferma quanto scritto dal Pisanelli dando le indicazioni dei momenti migliori in cui consumare il prodotto “… nel fin o nel principio del pasto“.
Niccolò Remery nel suo “Trattato degli alimenti e della maniera di conservarli lungamente in sanità” redatto nel 1734 scrive così:
” …li pistacchi sono umettanti e pettorali, fortificano lo stomaco, eccitano l’appetito, sono aperitivi e molto utili alle persone magre … Eccitano gli ardori di Venere e accrescono l’umore feminale, perchè eccitano una dolce fermentazione del sangue“.
Ma come è arrivato da noi il pistacchio?
Il merito va agli Arabi i quali, dopo aver sconfitto i Bizantini, presero possesso della Sicilia ed iniziarono a diffondere la coltivazione incrementandone produzione e consumo.
Il nome dialettale siciliano del frutto trova le sue radici nel nome arabo. “Frastuca” il frutto e “Frastucara” la pianta derivano dall’arabo “fristach”, “frastuch” e “festuch” derivati dal Persiano “fistich”.
Il massimo dello sviluppo della coltivazione si è avuto a partire dal 1850 nelle Province di Caltanissetta, Agrigento e Catania. Ma è proprio nell’ultima Provincia che il pistacchio ottenne il massimo del suo splendore.
Alle falde dell’Etna, nel territorio del Comune di Bronte, pascoli e terreni incolti diventarono pistacchieti.
Quello di Bronte è una varietà di pistacchio (pistacia vera cv napoletana), innestata su pistacia terebintus (spontanea)
Ma vediamo come si arriva al prodotto finito così come lo consumiamo.
I frutti vengono raccolti nel mese di settembre rigorosamente a mano o con l’aiuto di reti o teloni.
Si procede quindi all’eliminazione del mallo, dopo di che il frutto viene lasciato asciugare al sole per 6 giorni e quindi una parte viene messa in Commercio con il guscio.
Il prodotto con il guscio si chiama in dialetto tignosella.
Le tignoselle non messe in commercio vengono quindi sgusciate e pelate.
La pelatura avviene oggi mediante la breve esposizione del frutto ad un getto ad altissima pressione di vapore acqueo.
L’operazione fa quindi staccare la pelle meccanicamente.
Si ottengono così i verdi pistacchi che vengono essiccati e selezionati per colore: dal verde brillante e deciso al verde tenue e sbiadito.
Il prodotto finale contenente solo il 5/6% di umidità viene quindi confezionato ed immesso sul Mercato.
Dato che la conservazione del pistacchio pelato non dura più di un paio di mesi, l’operazione di pelatura viene fatta solo su ordinazione da parte del Cliente.
Il pistacchio non pelato invece si può conservare in frigorifero oltre la durata di un anno.
Il pistacchio contiene molte Proteine (18-23%), olio (50-60%), Vitamine ed altre sostanze non azotate (15-17%).
Ha un valore nutritivo molto alto ed il suo valore in calorie è il doppio di quello del burro.
Prodotto pregiato e richiesto per il suo tipico sapore aromatico viene utilizzato in pasticceria, gelateria ed anche per dare un particolare sapore ad alcune ricette di Cucina.
L’olio viene utilizzato in Dermatologia in quanto estremamente emolliente ed ammorbidente.
Poco utilizzato in Italia (dove si preferisce importarlo a costi minori dall’Iran, dalla Turchia, dall’Afghanistan, dalla Grecia e dall’America meridionale) è invece molto richiesto all’Estero specialmente dai produttori di specialità da gourmet, di fois gras francese e di praline svizzere.
Per fortuna da un po’ di tempo in Italia alcuni pasticceri ed alcune associazioni di cultura gastronomiche stanno tornando ad utilizzare ed a promuovere il pistacchio, in particolare quello di Bronte.
Agli appassionati consiglio la Sagra del Pistacchio di Bronte che si tiene ogni anno dall’ultima fine settimana di settembre alla prima di ottobre.
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