L’origine della pasta alimentare è immersa in una nuvola di disconoscenza.
I primi documenti scritti che vi si riferiscono sono tutti del tardo Medioevo se facciamo eccezione con le “lagane” citate da Apicio, nel suo “De re coquinaria”.
Apicio scrive dettagliatamente i condimenti per le “lagane” ma per esse non ci da la ricetta tanto che gli studiosi sono arrivati a concludere che queste antesignane della pasta fossero talmente note che non occorrevano istruzioni per realizzarle.
Le lagane erano una “pasta larga e sottile, cotta prima nell’acqua, poi fritta nell’olio” come ci dice Isidoro da Siviglia, nella sua pubblicazione Etymologiae. La loro forma era quella che oggi hanno le lasagne.
Moltissimi raccontano che fu Marco Polo che portò dalla Cina la pasta ma questo non è assolutamente vero perché quando Marco Polo era in Cina già la pasta alimentare era presente in Italia.
La leggenda su Marco Polo e la pasta è in realtà nata negli Stati Uniti nel 1938 e scritta sul “Macaroni Journal” pubblicato da un’associazione di industriali statunitensi e canadesi con lo scopo di nobilitare la pasta, presente a Little Italy già dal 1850, agli occhi dei consumatori americani.
L’articolo, a fumetti e quindi dedicato più ai bambini che agli adulti racconta che Marco Polo, nel 1292, tornando dal viaggio in Cina portò con se’ i noodles che poi divennero gli spaghetti.
Per rafforzare questa fantasiosa tesi nel 1939 si arrivò persino a rcitare la fandonia nel film “Uno scozzese alla corte del Gran Kan” (The Adventures of Marco Polo).
Tornando alla vera storia della pasta, le prime tracce della sua esistenza risalgono IV secolo a.C. con i bassorilievi rappresentanti gli utensili per realizzarla e rinvenuti nelle tombe Etrusche quindi, come detto, all’epoca Romana con Apicio, per passare al 1154 con l’Arabo al-Idrisi che viveva alla Corte di Ruggero II di Sicilia, del 1154, che scrive del commercio in tutto il Mediterraneo dei vermicelli fabbricati nei pastifici di Trabia, vicino a Palermo, degli scritti del 1221 di Fra’ Salimbene da Parma che parla di un altro Frate (Giovanni da Ravenna) dicendo “….non vidi mai nessuno che come esso si abbuffasse tanto volentieri di lasagne con formaggio!” e poi le lettere al Papa di Iacopone da Todi in cui esprime la sua passione per i “maccaroni” per arrivare alla ricetta di un Medico di Bergamo che nel 1244 prescriveva ad un paziente “….et non debae comedare aliquo frutamine, neque de carne bovina, nec de sicca, neque de pasta lissa, nec de caulis…”
ovvero di non mangiare e egli non avesse mangiato né carne, né frutta, né cavoli, né pasta.
Curioso l’elenco redatto nel 1279 dal Notaio Ugolino Scarpa circa l’eredità lasciata da tale Porzio Bastone (soldato Genovese) ed in cui figura “una bariscella plena de maccaroni” ovvero una cesta piena di spaghetti.
Insomma … ci spiace per Marco Polo che molto probabilmente la pasta l’avrà mangiata ma al quale non va il merito di avercela portata.
Torniamo alla storia della pasta.
Più sopra ho citato i pastifici di Trabia di cui si parla a partire dal 1100.
Fu lì che nacquero le prime paste forate come i rigatoni, le penne ed i bucatini mentre al Nord venivano create le paste ripiene (tortellini, ravioli e agnolotti)
A metà del 1200 nacquero veri e propri pastifici a Napoli, Genova e Salerno seguiti poi in seguito da quelli di Puglia e Toscana sino a quando, nel XIV Secolo, nacquero le prime Corporazioni Di Pastai Italiani sotto il controllo del Papa che con precise Bolle dettò regole per le botteghe.
Il fatto che la pasta venisse essiccata portò alla diffusione del suo commercio nel quale erano dominatori i “fidellari” Genovesi produttori dei “fidelli” (che altro non erano che gli spaghetti).
Una curiosità che riguarda la pasta è che gli “stranieri” la consideravano “un’originale leccornia, una stravaganza italiana e una prelibatezza per ricchi, un cibo di nicchia e d’élite” ed appariva solo nei palazzi di Corte o nobili mentre in Italia veniva consumata soprattutto dal popolo come cibo quotidiano.
Nel 1400 apparvero le prime regole per la preparazione della pasta che doveva essere cotta al dente e condita in modo leggero ma nutriente per saziare ma non appesantire i lavoratori.
Vorrei tralasciare di dirvi che all’estero la pasta (come detto riservata ai ricchi) veniva servita non come piatto forte ma come contorno, specialmente con la carne. Non avrei voluto dirvelo perchè “ideologicamente” la cosa mi disturba parecchio.
Ma non basta … la pasta veniva servita scotta (vizietto che persiste tutt’oggi).
Basta … torniamo alle cose buone e belle!
Per noi Italiani la pasta non è un semplice alimento bensì un elemento (come una lettera può cambiare i significati …) di unione … un segno di identificazione.
Chi sapeva che i maccheroni non solo sono stati usati come sinonimo di “popolo italiano” ma anche per definire un certo genere letterario in latino volgare italo-romanzo nato dall’impasto linguistico e che venne chiamato “stile maccheronico” indicato in seguito anche per definire un linguaggio pieno di errori ed improprietà?
Il nostro legame con la pasta fa parte di quell’immaginario collettivo che metterà questa meraviglia alimentare nella Letteratura, nella Musica (nell’Opera lirica anche) e nel Teatro.
Che dire poi del Cinema?
Maccarone … m’hai provocato …
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