I Maestri. Grandi Cuochi nella Storia della Cucina Italiana. Capitolo II

La nostra attenzione va ai Padri della Gastronomia italiana, quei grandi Cuochi che si sono dedicati con ricerche, e talvolta con sperimentazioni ardite ma soprattutto con cura e passione, ad una delle nostre più apprezzate Arti.

Grandi Chef che ci hanno lasciato e/o ci insegnano regole, dosi, ingredienti, sistemi di preparazione, innovazioni e scoperte per far crescere sempre di più un’Arte che non conosce limitazioni ne’ di creatività, ne’ di gusto, ne’ di popolarità.

Vincenzo Agnoletti (1800)

Agnoletti, nato a Roma é stato un “figlio d’Arte” in quanto suo padre era Capo credenziere della famiglia Doria Pamphili. Il credenziere era una figura altamente professionale la cui attività é descritta in un libro interamente dedicato a questo incarico ed in cui si legge che “il credenziere deve dilettarsi di odori e di varie insalate, e vari adornamenti per loro; sappia far geli, condire frutti e fare altre confetture”.

Le portate (tutte fredde) di cui si occupava questa figura erano quelle che inframmezzavano i servizi dalla cucina. Il nome deriva dal mobile detto credenza dentro la quale erano disposte le portate da servire. Ma il compito di questo personaggio era anche quello di apparecchiare la tavola che come si sa era una vera e propria Arte.

Da giovane Vincenzo diventa apprendista credenziere presso la Famiglia di cui era dipendente il padre ma in seguito inizia a viaggiare per l’Europa imparando dai più noti Cuochi dell’epoca l’Arte di cucinare e lavorando egli stesso come Cuoco.

I suoi viaggi e la sua attività proseguirono per oltre 20 anni.

Nel 1803 pubblica “La nuova cucina economica”, un’imponente opera in quattro volumi che raccoglie tutti gli argomenti in rigoroso ordine alfabetico, insomma una preziosa enciclopedia della Cucina.

Vi si leggono informazioni su alimenti, tecniche di lavorazione e ricette.

La straordinaria eccezionalità di Agnoletti sta nel fatto che, grazie ai suoi viaggi ed ai suoi contatti, fu il precursore della Cucina internazionale e persino di quella “fusion” unendo nell’opera ricette di Paesi diversi coniugate con ricette tradizionali e popolari italiane.

Maestro ed esecutore straordinario della Cucina del 1800 resta all’apice sia storico che gastronomico della Storia del settore.

Una curiosità de “La nuova cucina economica” é che vi si trovano pochissime ricette a base di pasta.

Agnoletti scrisse anche, tra le sue opere più note, il “Manuale del Credenziere, confetturiere e liquorista” dove insegna le tecniche di preparazione di biscotti, sorbetti e rosoli, rivelando i segreti della colorazione per le decorazioni dei dolci.

Il Maestro ci dice che la frutta candita deve essere lasciata da parte perché non più di moda, per cedere il passo al “pastillage di credenze” (fantastiche sculture di zucchero) usato come centro tavola con la forma di cesti contenenti frutta e fiori.

Nel 1820 Agnoletti viene assunto, a riprova di quanto noto ed apprezzato fosse, in qualità di credenziere liquorista dalla Duchessa di Parma Maria Luigia d’Asburgo-Lorena, ex moglie di Napoleone Bonaparte.

Una curiosità circa questo Maestro é che sbagliò solo una cosa: criticò e bocciò il cosidetto “servizio alla russa” che consisteva ne “il servire le tavole, con un piatto di cucina alla volta, trinciandolo fuori di tavola” affermando che: “è una cosa molto inconveniente, poco decorosa, ed il cuoco non figura nulla con il suo lavoro; onde io non solo non l’approvo, ma in Francia e Germania ancora non è sistema piaciuto, onde è inutile a parlarne”.  Questo tipo di servizio é quello che sino ad oggi viene utilizzato a livello Mondiale.

Una sua ricetta

Gnocchi economici alla moda di Vincenzo Agnoletti

Ingredienti Farina (a piacere) – burro – uova – formaggio grana – besciamella – cannella – sale

Mettere sul fuoco in un paiolo di rame dell’acqua salata; portare il liquido ad ebollizione; aggiungervi del burro e versarvi lentamente a pioggia della farina, mescolando continuamente con un bastone di legno, in modo che non si formino grumi. Continuate la cottura a fuoco medio fino ad ottenere un composto liscio ed omogeneo. Fare riposare e successivamente incorporare delle uova, del grana grattugiato, un po’ di besciamella e un pizzico di cannella. Amalgamare bene il tutto e stenderlo su una placca bagnata a raffreddare. Mettere a bollire dell’acqua salata e gettarvi a cucchiaiate il composto. Quando gli gnocchi verranno a galla, sistemarli su una teglia imburrata, coprire di besciamella, spolverare di grana e infornare fino alla formazione di una crosticina dorata.

Giovanni Vialardi (1800)

Giovanni Vialardi nacque a Salussola in provincia di Biella l’8 febbraio del 1804. Nel 1824 fu assunto come aiuto cuoco di Casa Savoia e, nel 1831, Carlo Alberto divenuto Re, lo assunse stabilmente (oggi diremmo a tempo indeterminato) con questo scritto:

L’esattezza e la fedeltà con cui Giovanni Vialardi ammesso nel 1824 al Nostro Servizio attende al disimpegno dei propri doveri ha incontrato il Nostro gradimento, di cui ci siamo disposti a dargliene un contrassegno con stabilirlo aiutante di cucina della Reale Nostra Casa coll’annuo stipendio di lire novecento sessanta.

Vialardi divenne poi, nel 1845, Aiuto Capo di Cucina della Real Casa e, nel 1847, Capo Cucina.

La qualifica corrispondente oggi a quella di Chef, ovvero Capo di Cucina, gli venne data l’anno dopo.

Tra il centinaio di collaboratori di Vialardi c’era anche Teofilo Barla (autore del libro “Il Confetturiere, l’Alchimista, il Cuciniere piemontese di Real Casa Savoia”.) ma che é rimasto escluso dal Gotha della Storia della Cucina italiana.

Trent’anni al servizio della Casa Reale permisero a Vialardi di affinare la sua Arte, soprattutto quella di Pasticceria in cui eccelleva per la preparazione di quei maestosi centrotavola chiamati ”pièces montées” che consistevano in capolavori scenografici di zucchero.

Il Maestro lasciò un segno così profondo nella Cucina Reale che, anche quando il Re si trasferì dapprima a Firenze (1865 al 1870) e poi a Roma (dal 1871), i pranzi di Stato venivano preparati e serviti secondo le regole e le ricette utilizzate dal grande Cuoco.

Il servizio alla Corte dei Savoia si concluse nel 1853 e Vialardi si ritirò a vita privata.

Fu nel 1854 che pubblicò il suo “Trattato di cucina, Pasticceria moderna, Credenza e relativa Confettureria”.

L’opera contiene ben 2000 ricette ed oltre 300 disegni per mano dello stesso Vialardi, nei quali sono illustrati sia gli attrezzi di cucina indispensabili all’epoca ad un Cuoco tra cui gelatiere, fruste, mestoli, scavini, forme, budiniere e marroniere, che piatti monumentali che venivano portati in tavola, vere e proprie opere d’Arte per servire pesci, selvaggina, timballi, bombe e soufflé.

Le ricette sono principalmente quelle in uso nel Regno di Sardegna quindi piemontesi, valdostane, nizzarde, genovesi e sarde e sono suddivise in 19 capitoli.


Particolare attenzione viene data alla raccomandazione di usare sempre ingredienti freschi e di ottima qualità ed all’abbinamento con i vini.


Un’altra particolarità straordinaria di quest’opera sta anche nel fatto che, per la prima volta, i pesi degli ingredienti sono indicati con il sistema metrico decimale che, come si sa, venne adottato dai Savoia nel 1845.

A questa grandiosa opera Vialardi fece seguire, nel 1864, la pubblicazione di “Cucina Borghese semplice ed economica” che conteneva sia ricette che disegni ma anche una sezione dedicata alla dieta omeopatica e per la Quaresima e tutte le tecniche per i vari servizi che all’epoca consistevano in quello borghese ed in quello denominato russo o francese ovvero i servizi a tavola con regole per la struttura del pranzo, l’ordine delle portate, il modo di servirle e di disporle.

Una sua ricetta:

Michette di meliga alla piemontese

Ingredienti: farina gialla – burro – zucchero – uova – limone –sale Impastare della farina gialla con burro, zucchero, rossi d’uovo, scorza di limone grattugiata ed infine un pizzico di sale.

Modellare il composto ottenuto a forma di grosse mandorle. Porre le michette su una teglia, praticare un piccolo taglio sulla superficie, spennellare con dell’uovo sbattuto ed infornare a calore moderato. Servire le michette di meliga fredde, accompagnate da tè, caffè o cioccolata.

Giovan Felice Luraschi (1800)

Purtroppo su questo importante cuoco non si hanno notizie biografiche.

Probabilmente, nonostante l’importanza della sua Opera, non era considerato molto all’epoca in cui visse.

Si sa per certo che fu un Cuoco professionista al servizio di Famiglie dell’alta borghesia milanese.

Si intuisce anche che amasse molto la Letteratura e tutte le Arti umanistiche e che le coltivò da autodidatta.

Giovan Felice Luraschi scrisse il “Nuovo cuoco economico milanese” la cui prima edizione apparve nel 1829 e che vide due edizioni successive (l’ultima nel 1865).

Luraschi dedicò il libro “ai cuochi, ai principianti e ai particolari”.

L’opera é suddivisa in due parti:

Prima parte: caratteristiche dei generi alimentari, utensili di cucina, norme di compilazione della lista delle vivande, qualità e taglio delle carni.

Seconda parte: ricette, suddivise molto professionalmente per tipologia. Ben 26 Capitoli ove sono contenuti tutti i piatti che venivano serviti all’epoca: entrées, entremets (in italiano “intermezzi”), tipi di cotture, verdure, ortaggi, conserve e… meritano una citazione a parte… dolci a cui Luraschi dedicò la più ricca raccolta di ricette del tempo.

Uno dei grandi meriti di Giovan Felice Luraschi fu quello di capire che un buon Cuoco deve saper conoscere le caratteristiche organolettiche di un alimento e deve possedere il gusto più eccelso per poter combinare dosi e condimenti. Però ebbe anche una grande carenza: non aver concesso al Cuoco la capacità di creare secondo la sua fantasia e capacità, sottomettendolo al gusto del datore di lavoro.

Ora l’ottimo cuoco debb’essere abile nelle sue manipolazioni, dee conoscere esattamente le qualità e proprietà di tutto ciò che pone in opera per poter correggere e perfezionare gli alimenti, che la natura presenta nel suo proprio stato; deve avere il palato buono, il gusto delicato per combinare esattamente i condimenti e le dosi; deve inoltre essere sollecito nel lavorare per operar prontamente, e dee studiare con assiduità il gusto del proprio padrone, per cui il palato del cuoco dev’essere quello dello stesso padrone; una delle più belle prerogative che possa possedere, onde soddisfare il genio del medesimo. La pulitezza e la proprietà sono al Cuoco necessarie, quindi dev’essere montato tutto in bianco, cioè corpetto, calzoni e berretto, grembiale verde, varj ed ottimi coltelli con fodero al fianco, e molta biancheria da cucina sempre pronta.

L’Opera é comunque principalmente a contenuto locale quindi essenzialmente dedicato alla Cucina milanese (stufato, zucchette, broccole, senape, galantina di cappone, frittura di polenta, zuppa di marasche, sbrafodeli, riso con la coradella, cappone) che peraltro ha fondato le sue basi e regole nelle tecniche e nel gusto francesi.

Ma il fatto della “regionalità” dell’Opera é certamente un contributo imponente alla conoscenza della Cucina meneghina e Luraschi fu il Cuoco che più ampiamente descrisse la propria Cucina locale, molto più di altri Cuochi di altre Regioni d’Italia.

Un altro pregio del Luraschi fu quello di indicare per la prima volta la necessità di applicare l’economia domestica nel comporre piatti e pietanze, quell’economia che ne   vide il suo sviluppo.

Un testo quindi che sembra attuale: economia domestica, qualità nutrizionali ed igienico-alimentari, gusto, considerazione ed importanza per tutti gli ingredienti, compresi quindi quelli popolari.

Una sua ricetta:

Cotelette all’italiana fritte

Panate bene le cotelette, pulendo bene l’osso delle stesse, battetele tirandole alla grossezza d’un mezzo dito, passatele all’uovo sbatutto con poco sale, impanatele con pane grattugiato passato a crivello e metterlo in una tortiera con butirro purgato, lasciatelo cuocere al dolce fuoco e al momento di servirle spremetevi sopra un mezzo limone, essendo di estate potrete servirle con salsa dolce e piccante o verde o di pistacchi o di limone con olio e zucchero o d’anchioda o di cepecchi o di fambrosa.

I Maestri. Grandi Cuochi nella Storia della Cucina italiana. Capitolo I

I Maestri. Grandi Cuochi nella Storia della Cucina Italiana. Capitolo III

I Maestri. Grandi Cuochi nella Storia della Cucina italiana. Capitolo IV

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2 risposte a “I Maestri. Grandi Cuochi nella Storia della Cucina Italiana. Capitolo II”

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